La grande distribuzione ha modificato profondamente le nostre abitudini alimentari offrendo gli stessi prodotti da gennaio a dicembre, senza discriminazione di categoria merceologica.
Consumare cibi fuori stagione è diventata un'abitudine e in qualche caso ci appare ormai sotto forma di indice di benessere economico, di progresso, di tendenza. Ogni tipo di prodotto è ormai disponibile tutto l'anno, non solo sugli scaffali dei supermercati ma anche nelle piccole botteghe.
Arrivano dall'altro capo del mondo oppure sono prodotti in località vicine a noi, attraverso l'uso di coltivazioni in serre riscaldate o allevamenti intensivi: in entrambi i casi è innegabile il dispendio energetico, spesso con fonti non rinnovabili.
Le produzioni non stagionali sono spesso associate a trasporti sulle lunghe distanze, comportando costi energetici enormi ed emissioni di anidride carbonica.
Riscoprire la stagionalità degli alimenti significa saperli acquistare nel periodo dell'anno in cui sono naturalmente disponibili nel luogo in cui sono venduti. Normalmente si associa il concetto di stagionalità a frutta e verdura, ma si può estendere anche a pesci e a formaggi: il consumo fuori stagione di prodotti stagionali (formaggi d'alpeggio o freschi) può causare danni all'ecosistema naturale in cui vivono gli animali che producono il latte.
Bettelmatt d'inverno, Murazzano in primavera, Robiola di Roccaverano d'estate, Grasso d'Alpe in autunno: ogni formaggio ha la sua stagione, impariamola!